Tra le fronde degli alberi, nello spazio largo vicino al prato, appare una casa. Come per sottolineare l’importanza del fermarsi ogni tanto, lungo la via.
Per osservare con attenzione, per distinguere i particolari e ricordare i dettagli.
Per ascoltare e aspettare.
Un giorno qualcuno ha deciso di costruire qui il suo punto fermo.
Un luogo dove proteggersi e guardare l’orizzonte. Originariamente un’abitazione di contadini, forse essenziale e indispensabile, poi rimodernata per la guardia forestale a protezione e cura dell’arboreto sperimentale che la circonda.
Oggi è la sede dell’Arboreto, riabitata da pensieri e progetti, colorata e arredata per accogliere ospiti. Coloro che vi soggiornano sono viaggiatori disposti alla sosta che si adagiano sul privilegio della sospensione considerandola ancor più importante della meta. Li conduce qui l’opportunità di concedersi e di concentrarsi sul momento prima, il nocciolo dell’idea, il dipanarsi delle ipotesi, la seduzione dell’incanto che precede l’opera.
La foresteria è semplice e funzionale, ma può alloggiare quindici persone, offrire loro una cucina attrezzata per preparare assieme i pasti, e una saletta con camino per tessere riflessioni, stimolare confronti nell’intimità di un convivio. Sa di libertà e di studio, di pensieri intelligenti e veloci.
Ospiti sconosciuti e illustri si sono avvicendati e si avvicenderanno nella casa de L’arboreto per dare corpo ad un’idea: delineare percorsi di formazione, di ricerca e di sperimentazione; di residenze creative e di produzione di nuove opere. Vale a dire far avvicendare nel tempo una serie d’incontri per un passaggio di saperi sull’arte scenica e su quella visiva, sulla parola e le sue sensibilità, sul paesaggio e la sua cultura. È un’idea del secolo scorso, che oggi si allarga, si rinnova, si riconferma. È un’idea semplice e ostinata: la possibilità di un confronto sulle potenzialità di ognuno, maestri e allievi. Come a dire qualcosa che succede o dovrebbe succedere da migliaia di anni con naturalezza.
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