Una possibilità di creazione
La principale caratteristica de L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino è stata quella di aver sviluppato, pensato e progettato – per primi in Italia – le residenze principalmente come luoghi di pensiero: di studio, ricerca e sperimentazione.
Luoghi e progetti per dare corpo e respiro alle idee: nei tempi e nei modi di cui gli artisti hanno facoltà, hanno necessità; per sostenere la crescita di processi culturali e artistici, con la possibilità di produrre delle nuove opere contemporanee, con particolare attenzione a tutto ciò che riguarda l’ambito coreografico e il teatro fisico.
Inizialmente, le residenze vanno intese soprattutto come laboratori permanenti, officine aperte, senza pensare subito all’esito finale: senza risultati evidenti, per sé e per gli altri.
Luoghi e progetti di lavoro dove sia (anche) possibile perdersi nella lentezza e nella bellezza della ricerca, senza raccogliere nulla, nell’immediato.
Luoghi e progetti d’incontro e di confronto dove gli artisti trovano le condizioni indispensabili per conoscere e conoscersi; per imparare e sbagliare, interpretando il “diritto all’errore” come un fattore di crescita.
Luoghi e progetti per sostenere in particolare il dire e il fare, gli sguardi, delle nuove generazioni che non trovano spazio nei circuiti già esistenti, o che hanno la necessità di un accompagnamento critico e organizzativo per comprendere le proprie possibilità poetiche.
Luoghi e progetti per il proprio territorio, la comunità culturale e sociale d’appartenenza; e contemporaneamente per rinnovare il sistema nazionale delle arti sceniche che sempre di più ha bisogno di luoghi e progetti nutrienti e vitali per lo studio e la creazione, insieme.
È possibile, ma non obbligatorio, che al termine di una residenza la compagnia senta la necessità di incontrare il pubblico per una prima verifica della propria ricerca.
E quando questo accade, quando nelle residenze si creano le premesse per un incontro non convenzionale fra gli artisti e il pubblico, allora si genera un’energia vitale per entrambi; un’energia che si moltiplica, che produce altra energia, per le persone e per il luogo di residenza.
Uno scatto più in là, vi è senza dubbio la possibilità che le residenze creative conducano direttamente alla produzione; luoghi e progetti pensati e attrezzati per condividere la nascita dei tanti teatri possibili della contemporaneità, del proprio tempo. E quando questo avviene, vuol dire che quel luogo e quel progetto hanno maturato le condizioni essenziali per favorire la produzione di nuove opere; una ricchezza acquisita – una nuova possibilità espressiva – per gli artisti e per l’ambiente teatrale nel suo complesso. Per il pubblico, in particolare, che ha la possibilità così di diventare un interlocutore privilegiato che partecipa attivamente, dall’interno, ai processi della creazione.
Quali sono, allora, i “nuovi pericoli” delle residenze creative?
Le residenze creative non vanno intese solo come centri servizi.
Non possono essere ridotte semplicisticamente a “merce di scambio” per gli organizzatori e i produttori.
Non si può chiedere agli artisti residenti anche di educare il territorio.
Non si può chiedere agli artisti residenti anche di organizzare il consenso.
Si può fare, evidentemente.
Esistono delle esperienze di residenza in cui alle compagnie si chiede anche di occuparsi di organizzazione e di promozione, e non solo di concentrarsi sul proprio lavoro creativo, di ricerca e di produzione di spettacoli.
In queste situazioni, le compagnie accettano il rischio di diventare dei bravi organizzatori, perdendo così di vista la centralità del proprio fare teatro, in scena.
Le residenze creative non possono essere concepite, dagli artisti e dagli enti, come una nuova modalità di lavoro per risolvere vecchie problematiche amministrative e di politica culturale del territorio, di occupazione di spazi vuoti, vuoti di memoria, idee e progetti, antichi deficit produttivi: mancanza di finanziamenti, spazi, ospitalità, ecc.
Il significato profondo delle residenze creative, a nostro avviso, è quello di esprimere dei progetti profondi, complessi, difficili, critici, per condividere un pensiero tanto straordinario quanto semplice e vitale per il presente e per il futuro del teatro: difendere e proteggere il “lusso” della ricerca, soprattutto per le nuove generazioni di artisti.
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