Bisogna che mi riabitui ai gesti lenti, all’attesa, alla pazienza.
In questo laboratorio vivente, io sento trasferirsi in maniera tangibile e grandiosa
l’astuto e silenzioso farsi della materia.
Nino Pedretti
L’arboreto nasce nel 1998 dal costituirsi di un gruppo in associazione culturale, un eterogeneo miscuglio di menti e professioni sedotte dalle domande/sfide sull’insieme e sulle differenze delle arti sceniche contemporanee. La delicata sfida in questi anni è stata quella di far crescere un progetto, senza renderlo banale o esclusivo, cercando di assecondare libertà e debolezze, sogno e concretezza. Abbiamo sbagliato, naturalmente. Ma abbiamo avuto anche successo, naturalmente.
Tutto qui. E questo solo perché L’arboreto è sopra ogni altro dire un progetto, una zona in cui esiste l’irrequietezza e la ragione, il possibile e il desiderato.
Quando diciassette anni fa abbiamo dovuto scegliere tra il fare e il lasciar essere tutto com’era, tra una scelta di rischio e una di conservazione, la prima ha preso il sopravvento.
Abbiamo preferito il dubbio dell’entusiasmo, l’incertezza della razionalità, il fascino dell’incompiuto. Abbiamo scelto di allontanarci dalla città, dal centro verso la periferia, l’entroterra. Abbiamo incontrato Mondaino un piccolo paese nella Valle del Conca, sul confine fra la Romagna e le Marche, un ritmo lento, una strada in salita da percorrere.
Dietro una curva, un parco, un progetto di arboreto sperimentale di nove ettari inaugurato nel 1990 con più di seimila piante e una casa contadina rimodernata per la guardia forestale, poi abbandonati. Abbiamo deciso di dedicarci alla cura di questi luoghi, di risvegliarli con un’idea rischiosa proprio per i principi elementari che in essa si nascondevano.
Abbiamo creduto in una possibilità senza pensare che fosse l’unica. “In questo spazio franco, enclave dell’empatia sull’appennino romagnolo, si rileva un segnale chiaro e sereno di alterità culturale che risponde al mondo accelerato con un elogio della bellezza nella lentezza.” Questo dice di noi Carlo Infante pensando agli eventi realizzati: gli spettacoli, le azioni del corpo e della mente, le musiche e i festival I nomadi del cuore. Questo percorso ci ha condotto a ripensare a L’arboreto come un ecosistema, la sua vera intuizione naturale che diventa anche culturale. Un ambiente che potesse accogliere in armonia un insieme di relazioni, di rapporti tra più discipline come succede per le tante e diverse specie arboree.
Una residenza-laboratorio per comprendere le diverse espressioni interpretate non solo come forma creativa e artistica ma anche come modo di essere e di reagire, mettendo in evidenza l’ispirazione e i processi, prima ancora dei risultati.
La difficoltà e la bellezza di rimanere fedeli a questo pensiero ha contribuito alla sua permanente maturazione e a far si che oggi sia un centro teatrale riconosciuto a livello nazionale e internazionale per la qualità e la complessità delle attività. Fra le tante forme date ai nostri progetti, due obiettivi sono per noi divenuti centrali/fondamentali/costituenti per valorizzare la cultura del teatro, della danza e delle arti sceniche e performative contemporanee: formazione e residenze creative.
Nella primavera 2003 è stata messa a dimora la pianta del teatro, un germoglio di grandi dimensioni e attese: una sala in pietra e legno piena di luce. Uno spazio attrezzato con le più moderne tecnologie (luce, audio, video) e con strutture modulari (pedana, tribuna)
Il Teatro Dimora inaugurato nella primavera del 2004, la casa foresteria funzionale e colorata, il parco reso accessibile con nuovi sentieri, gli spazi del Centro Giovani “Orizzonti”, fanno oggi de L’arboreto una struttura unica in Italia particolarmente adatta per ricerca, prove e produzione di nuove opere.
Dopo diciassette anni d’attività, ora L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino, rappresenta compiutamente il nostro primo obiettivo, edificare una casa comune per l’arte contemporanea: un luogo da vivere per lo studio e la comunicazione con il pubblico, ma soprattutto per definire nuove possibilità d’incontro e relazione fra le persone e gli artisti. Un luogo fisico e progettuale nuovo/diverso per favorire l’ingresso dei giovani – nuove generazioni d’artisti e pubblico – nelle visioni del fare teatro, nella sperimentazione di nuovi linguaggi creativi contemporanei, riconoscendo in particolare ai giovani la necessità di interpretare il “diritto all’errore” come un fattore indispensabile per la propria crescita artistica e umana.
Ogni inizio è solo un seguito, per proseguire con chi avrà altri suggerimenti, altre idee da seminare e da far crescere.
Per la necessità di incontrare ancora nuovi sguardi.
Errore e popolarità. Così ci sentiamo ora: in quella magica posizione di chi lascia scorrere tutte le idee senza elogiarne nessuna. Senza raccontare che le idee passate sono le migliori e che le prossime saranno le eccellenti. Esiste solo la volontà di mantenere la memoria, di osservare le tracce lasciate sul sentiero, le esperienze compiute e i pensieri generati. Scrivere alcune precisazioni come fossero le tappe di una progettualità già svolta e ancora in divenire, un utile sdoppiamento per ritrovare un’identità: disponibili a ripartire per cambiarla. Nessuna saggezza, senza enfasi e senza scherno delle nostre azioni, solo il racconto di un accaduto. Abbiamo riflettuto e ponderato ogni sillaba di questo possibile discorso non accorgendoci che in due parole era nascosto tutto quello che volevamo dire.
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