Data / Ora
20 Maggio 2018
ore: 18:00
Categoria
Deflorian Tagliarini
Prova aperta – ingresso libero
un progetto di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini
liberamente ispirato al film Il deserto rosso di Michelangelo Antonioni
collaborazione alla drammaturgia e aiuto regia Francesco Alberici
con Francesca Cuttica, Daria Deflorian, Monica Piseddu, Benno Steinegger, Antonio Tagliarini
collaborazione al progetto Francesca Cuttica, Monica Piseddu, Benno Steinegger
consulenza artistica Attilio Scarpellini
luci Gianni Staropoli
suono Leonardo Cabiddu e Francesca Cuttica (Wow)
costumi Metella Raboni
traduzione e sovratitoli in francese Federica Martucci
direzione tecnica Giulia Pastore
organizzazione Anna Damiani
accompagnamento e distribuzione internazionale Francesca Corona / L’Officina
una produzione A.D.; Teatro di Roma – Teatro Nazionale; Teatro Metastasio, Prato; ERT Emilia Romagna Teatro Fondazione
in coproduzione con Théâtre Garonne, scène européenne, Toulouse; Romaeuropa Festival; Festival d’Automne, Paris; Théâtre de la Bastille, Paris; LuganoInscena LAC; Théâtre de Grütli, Genève; La Filature, Scène nationale, Mulhouse
con il sostegno di Istituto Italiano di Cultura, Parigi; L’arboreto – Teatro Dimora, Mondaino; FIT Festival, Lugano
Oggetto di partenza del nostro nuovo progetto è Il deserto rosso, lo straordinario film del 1964, prima opera a colori di Michelangelo Antonioni, che a partire – sembra – da un breve racconto di Tonino Guerra vede in scena una straziante e fanciullesca Monica Vitti. Giuliana, moglie e madre, attraversa il deserto – in una scena davvero rosso – della sua vita senza che nessuno possa realmente toccarla, senza toccare davvero nessuno. Nemmeno l’incontro con Corrado, amico del marito, per tanti versi simile a lei, riesce a cambiare le cose.
Poche le parole, alcune talmente belle da diventare proverbiali (“Mi fanno male i capelli”, la più nota, presa in prestito dalla poetessa Amelia Rosselli) e protagonista assoluto il paesaggio, una Romagna attorno a Ravenna trasfigurata dal regista (“ho dipinto la realtà” ha dichiarato all’epoca) in un mondo la cui malattia è anche la sua bellezza, in un cortocircuito di senso e di sensi che ancora oggi ci sbalordisce. Un oggetto ingombrante, visto, discusso, sviscerato, a differenza di Janina Turek, la protagonista del nostro lavoro del 2012, Reality e delle pensionate greche prese in prestito da Petros Markaris che abbiamo abitato in Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni del 2013, entrambi oggetti di cui pochi o nessuno si era occupato. Il deserto rosso è invece uno dei film centrali – hanno scritto – non solo del cinema italiano e internazionale ma delle arti visive del Novecento.
La scelta è quella di essere cinque in scena, tre donne, due uomini. Prima di tutto per evitare il triangolo borghese, moglie-marito-amante, per avere la possibilità di lavorare liberamente attorno alla figura di Giuliana e infine per rispondere alla tensione anti-realistica del film. Infatti, se questa opera ci ha toccato è anche perché il film non è la sua trama e questo ci corrisponde. Da sempre nei nostri lavori siamo attratti da figure marginali, dimesse (quelle lucciole fisiche e di pensiero così ben descritte da Georges Didi-Huberman), abbiamo raccontato casalinghe e pensionate, ci siamo descritti nelle loro cadute e fallimenti. Figure apparentemente lontane da Antonioni e dalle sue ambientazioni medio borghesi.
In realtà Giuliana è assolutamente parte di questa galleria di persone riuscite a metà, storte. È una ‘selvatica vestita elegante’, a suo modo una Kaspar Hauser. C’è qualcosa in lei che ci parla di una ricerca di verità che spesso, nella nostra sempre maggiore “capacità” di stare al mondo, abbiamo perso. Ci siamo adattati. Accomodati, abbiamo azzittito domande come quelle che si fa lei: “Ma cosa vogliono che faccia con i miei occhi? Cosa devo guardare?”. Il nostro vuole essere un lavoro non solo sul disagio, la fragilità, sulle crepe, ma anche sulla fanciullezza di questa donna, che il mondo non sembra più interessato ad ascoltare.
“C’è qualcosa di terribile nella realtà, e io non so cosa sia. E nessuno me lo dice” dice Giuliana.
Il deserto rosso si interroga in maniera personalissima su quel cambiamento epocale che tutti gli artisti del dopoguerra hanno sofferto e raccontato (definito alienazione per Antonioni, genocidio culturale per Pasolini). Quell’alienazione – termine non a caso desueto – ci appartiene talmente tanto da non avvertirla più.
La cerniera tra dentro e fuori in quest’opera è talmente particolare, profonda che non possiamo che essere sollevati dal fatto che il film inizi durante uno sciopero, che lo sfondo sia lo sfruttamento di operai chiamati a sradicarsi, a lasciare la loro terra per lavorare. Questa osmosi tra questi due livelli del racconto in Antonioni non vuole essere risolutiva, ideologica, ma scava, intreccia, sposta, eccoci ancora al rapporto tra figura e sfondo. In questo senso è illuminante la scena sottilmente straziante tra l’operaio e Giuliana, che si sono conosciuti in clinica, che hanno sofferto un male simile, che si riconoscono.
Dove siamo ora?
Residenza creativa
residenza creativa per la ricerca e la produzione del nuovo spettacolo di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini
sede organizzativa
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